La storia del ristorante inizia dopo la prima guerra mondiale al Ghetto, nel cuore pulsante di uno dei quartieri più antichi di Roma, quando Luigi Ceccarelli, noto come Giggetto, e sua moglie Ines decisero di acquistare una vecchia osteria. Oggi da Giggetto si è già arrivati alla terza generazione. Un tuffo nella storia culinaria: un viaggio alla “città eterna” è incompleto senza una visita al Giggetto. È il luogo ideale dove immergersi nella cultura e nella storia di Roma attraverso la sua straordinaria cucina. “Nel 1923 la comunità locale era molto forte e molto unità. Pur non essendo della religione ebraica, mio nonno, grazie alla sua ottima reputazione, è stato ben accolto al Ghetto in quell’epoca”, spiega Marco Ceccarelli, nipote del fondatore e co-proprietario del locale, “I suoi primi clienti erano i fagottari che si portavano da mangiare da casa. La gente era molto esigente e l’oste era molto disponibile. Mio nonno era una persona affabile e aveva pure il vino buono. Mia nonna invece era la grande risparmiatrice. Durante la Seconda guerra mondiale, all’epoca fascista, loro hanno salvato tantissimi ebrei. Mia nonna sapeva cucinare molto bene, mio nonno veniva dalla Ciociaria ed era un grande intenditore di vino. Hanno unito le due forze e le due capacità e si sono dedicati ai piatti tradizionali e alla cucina ebraica-romana. In quell’epoca qui al Ghetto c’erano tantissime osterie ma loro si distinguevano sia per la buona cucina che per il vino buono. Dopo un secolo, cerchiamo di farlo anche noi nonostante le sfide che affrontiamo. La vera essenza di Giggetto risiede, naturalmente, nei suoi piatti. Sin dal 1923, questo luogo divenne celebre per la sua cucina ricca di sapori genuini e il calore dell’accoglienza romana. Con duecento coperti interni e centoventi all’aperto, Giggetto offre il delizioso vino di Frascati e le prelibate pietanze preparate con tanta cura, tra tutte, gli ineguagliabili carciofi alla giudia; e baccalà. “La nostra clientela è principalmente composta da romani, affiancati dai turisti italiani, soprattutto provenienti dal Nord”, spiega Claudio Ceccarelli, “la vera prova del
nostro Dna ci è stata fornita durante la pandemia: quando abbiamo riaperto dopo il lockdown, abbiamo lavorato intensamente, ma senza stranieri, e quei pochi presenti erano residenti a Roma. Continuiamo a proporre la cucina romana e abbiamo clienti che ci dicono che ‘qui veniva mio nonno’, e questo dice tutto”.
Qualche dato interessante: nel week-end il locale riesce a ospitare fino a mille di persone, durante la settimana la cifra varia da 200 a 300 coperti al giorno. Solo di carciofi se ne consumano 300 unità al giorno. Ma qual è il segreto della longevità di Giggetto? Affrontando le guerre, la pandemia, le crisi finanziarie ed
energetiche i proprietari di Giggetto hanno sempre saputo attirare l’attenzione di notabili, artisti, personaggi storici, soprattutto dei romani comuni e dei turisti, rendendolo il locale un luogo dove il passato si fonde armoniosamente con il presente. Nel corso degli anni i proprietari di Giggetto hanno dedotto “una
formula vincente” che si basa sulla presenza dei proprietari 7 giorni alla settimana, il rispetto della tradizione, a cominciare dalle ricette che sono sempre le stesse tramandate da Luigi (Giggetto) Ceccarelli), il personale fedele che fa parte della famiglia allargata, con camerieri che lavorano al locale da oltre mezzo
secolo, l’attenzione verso la qualità dei prodotti. Un esempio? Giggetto è l’unico ristorante a Roma che ordina il baccalà direttamente dall’Islanda e punta sui produttori piccoli, come il guanciale della Valnerina, per sostenere le realtà locali. “La nostra forza è quella di essere qui sempre presenti. Non siamo quei
ristoratori che non ci sono mai. Come mio padre siamo maniacali nella cura nel nostro locale, quando compri i prodotti di qualità così già stai al 50%. E se poi dopo la cucini bene, hai fatto il massimo. E poi se le cose vanno male non ti affacciare a vedere gli altri perché non è la colpa degli altri, ma la colpa è tua”, sottolinea Ceccarelli.
A cura di Gianfranco Ferroni